Intervista al Dr. Filippo Torrisi: "La ricerca è curiosità e piacere per il sapere"

26/11/2022
Intervista al Dr. Filippo Torrisi:

Cordovado, 25 novembre 2022

Il collegamento Zoom funziona, tutto è pronto per l’intervista al nostro “nuovo” ricercatore: il dr. Torrisi. Filippo si presenta, sembra emozionato, alla fine confesserà che averci incontrato e aver avuto la possibilità di conoscere la storia di Rossana, gli darà ancora più motivazione nel suo quotidiano lavoro di ricerca. Anche per noi è un momento importante, il contatto con i ricercatori ci aiuta e conferma nel nostro obiettivo di sostenere con convinzione i loro progetti. Così parliamo del suo lavoro, delle sue esperienze e di quello che si aspetta in futuro. Una bella e interessante intervista condotta con la collaborazione della Fondazione Umberto Veronesi.

Come nasce l’idea del vostro lavoro? L’idea nasce dalla volontà di voler proseguire e approfondire il lavoro intrapreso durante il mio progetto di Dottorato, il cui obiettivo principale è stato quello di sviluppare sinergie terapeutiche mediante la combinazione di un farmaco ad azione bersaglio molecolare con trattamenti radioterapici di precisione per la cura di tumori cerebrali altamente aggressivi, quali il glioblastoma. Da questo studio, è nata l’esigenza di indagare i meccanismi fisio-patologici che le cellule tumorali di glioblastoma mettono in atto per rispondere al trattamento, tra cui l’evasione o la soppressione della risposta immunitaria.

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca? Questa linea di ricerca incrocia perfettamente le principali sfide che la comunità scientifica sta affrontando nell’ambito della medicina personalizzata e della terapia di precisione; all’interno di questi settori, occorre eseguire una ricerca approfondita che mira alla rivelazione di meccanismi tumorali ancora ignoti. Solamente una migliore comprensione di essi, in associazione al miglioramento e alla progressione delle nuove tecnologie, potrà portare al successo delle terapie attuali e future.

Quali sono gli aspetti poco noti da approfondire o le vostre domande? Spesso, i tumori più aggressivi, come i gliomi altamente maligni, custodiscono la loro forza nella capacità di eludere i meccanismi di difesa dell’organismo. Tali meccanismi sono tuttora oggetto di studio e nonostante gli avanzamenti scientifici degli ultimi anni, molti quesiti rimangono ancora irrisolti; in particolare, occorre esaminare le modalità con le quali le cellule tumorali riescono a riorganizzare il loro assetto metabolico per rispondere alle condizioni di stress. La riprogrammazione metabolica rappresenta una delle principali strategie messe in atto dalle cellule tumorali per evitare l’attacco del sistema immunitario e resistere alle terapie. Da ciò emerge l’importanza di indagare i collegamenti tra la risposta immunitaria e la riprogrammazione metabolica a livello tumorale.

Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica e le eventuali possibili applicazioni alla salute umana? L’obiettivo in prospettiva futura è quello di sviluppare e implementare strategie terapeutiche di precisione che, non solo avrebbero il vantaggio di ridurre gli effetti collaterali, ma in aggiunta, riuscirebbero a sopraffare i meccanismi di radio-resistenza che le cellule tumorali adottano per sopravvivere. Questi risultati garantirebbero cure più efficaci contro i tumori più aggressivi e difficilmente trattabili in relazione alla sede anatomica, come quelli celebrali e non solo.

Sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca? Si, sono stato ospitato per 6 mesi al centro di ricerca di Imaging biomedico “Imagerie et Stratégies Thérapeutiques des pathologies Cérébrales et Tumorales” che si trova a Caen, città francese della Normandia. L’occasione di partire mi si è presentata durante il percorso di dottorato. Insieme al mio tutor, ho pensato che fosse arrivato il momento giusto per fare un’esperienza all’estero, che mi permettesse di accrescere le competenze e conoscenze ma anche di iniziare a creare collaborazioni con altri gruppi esperti nel campo di studio relativo al mio progetto di ricerca.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Penso che sia stata l’esperienza più bella di tutto il mio periodo di dottorato. Sono stato
in un laboratorio che considero all’avanguardia; tale esperienza ha contribuito fortemente alla mia crescita professionale. Inoltre, ho avuto la possibilità di stringere nuove amicizie e visitare una regione meravigliosa. Sicuramente l’impatto in una città diversa e in un ambiente nuovo di lavoro non è stato semplice, per cui non sono mancati i momenti di nostalgia. Ma l’amore per la ricerca e il sostegno di colleghi, della famiglia e di un gruppo di lavoro collaborativo ha reso tutto più semplice.

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca? Ricordi l’episodio o il momento in cui hai capito che la tua strada
era quella della scienza? Il sentimento di voler intraprendere la strada della ricerca è cresciuto in me nel corso degli studi a partire dalla laurea triennale in biologia. In particolare, da sempre sono stato attratto dal mondo biomedico, ma è stato durante lo studio di materie come fisiologia, biologia molecolare e biochimica che mi sono appassionato fortemente ai processi biologici ed alla comprensione delle loro disfunzioni nel caso dello sviluppo di tumori. Da quel momento ho pensato concretamente che mi sarebbe piaciuto avere un
futuro nell’area della ricerca.

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare. Fortunatamente ho avuto tanti
momenti positivi durante la mia vita professionale. Al di là dei successi, che comprendono la laurea, la conclusione del Dottorato, le prime pubblicazioni e i primi congressi, direi che un momento da incorniciare è avvenuto durante la mia esperienza all’estero. Il giorno prima del mio ritorno in Italia, colleghi, professori e ricercatori dell’istituto ospitante hanno organizzato una festa a sorpresa, riempendomi di regali e souvenir, manifestando la loro stima nei miei confronti e dichiarando che da loro avrei sempre trovato la porta aperta. Se dovessi pensare ad un momento da dimenticare, identificherei sempre un periodo durante la mia permanenza all’estero, quando ho attraversato una fase di lavoro in cui diversi esperimenti fallivano per svariate ragioni; in quel momento avevo bisogno di un volto familiare e di un conforto amichevole. Anche se a distanza, l’affetto della mia famiglia è stato fondamentale per superare quei momenti difficili.

Come ti vedi fra 10 anni? Risponderei su come spero di vedermi tra 10 anni. Spero di essere ancora all’interno del mondo della ricerca biomedica e mi auguro di essere sempre presente nelle attività sperimentali di laboratorio e costantemente assiduo nel seguire lo sviluppo di progetti per portare avanti le mie linee di ricerca in parallelo alla formazione dei ricercatori e studenti più giovani.

Cosa ti piace di più della ricerca? Quello che mi piace di più della ricerca è sperimentare e dimostrare un’ipotesi scientifica. Sono felice di condurre gli esperimenti, analizzare i dati e verificarne l’esito, benché non sempre possa essere quello sperato. Condivido l’idea che la ricerca è collaborazione, dove diverse competenze possono associarsi e incontrarsi per ottenere un risultato comune.

E cosa invece eviteresti volentieri? Se fosse possibile, eviterei i periodi in cui le troppe scadenze dovute alle attività sperimentali e lavorative in generale tendono a mantenere alto il livello di stress.

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente? Di getto direi curiosità. Se dovessi rifletterci sopra, aggiungerei che entrambe rappresentano il piacere per il sapere, la voglia di conoscere l’ignoto, di studiare ed approfondire le conoscenze attuali, di investigare e di ricercare risposte alle ipotesi scientifiche che vengono costruite su specifici argomenti.

In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica? E in che modo e da chi, invece, potrebbe essere aiutato il lavoro di chi fa scienza? I giovani ricercatori si approcciano al mondo della ricerca con tanta voglia ma con poche certezze. Come ogni lavoro si ha la consapevolezza di dover affrontare tanti ostacoli, ma il percorso che si prospetta davanti ad un giovane ricercatore è ancora molto insicuro.

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia? Penso che in percentuale siano molto di più le persone che hanno fiducia nella ricerca e nei ricercatori.

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica? Innanzitutto, vorrei dire un grazie di cuore per la fiducia e per il sostegno. Ogni donazione rappresenta un mattoncino che contribuisce alla costruzione di un futuro migliore per il benessere dell’umanità.